Il suo acronimo è FIVI, rappresenta la Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti e costituisce, forse, la svolta in grado di elevare il made in Italy nel comparto wine delle piccole imprese a sinonimo di eccellenza qualitativa assoluta.
Piacenza, 29 e 30 novembre 2014, di scena c’è la FIVI. Ai più risulterà sconosciuta ma dopo questa due giorni impegnativa in primis a livello fisico, possiamo sostenere con fermezza che qualcosa di importante sta accadendo nel mondo dei piccoli wine makers italiani.
Si sa in Italia il vino lo si fa bene ma ahimè nella stragrande maggioranza delle situazioni non lo si sa valorizzare adeguatamente. Nasce spontaneo il paragone con i cugini francesi d’Oltralpe, maestri nell’arte della persuasione e dell’ottimizzazione delle risorse di cui si dispone. Emblematico è il celebre dialogo tra il “maestro” Luigi Veronelli e Réne Engel, pietra miliare dell’enologia francese e in particolare di quella borgognona. Nel 1956 il giovane e ambizioso Veronelli si recò a Nuits Saint Georges in Borgogna, e dinnanzi a un bicchiere di Vosne Romanée offertogli da monsieur Engel udì le parole che ogni produttore italiano dovrebbe imprimere in maniera indelebile nella propria mente: – Vedi, voi avete uve d’oro e fate vini d’argento, noi uve d’argento e facciamo vini d’oro! – . Queste parole fecero maturare rapidamente nella mente del giovane Veronelli la consapevolezza che se le nostre uve d’oro fossero state vinificate correttamente, avrebbero certamente prodotto vini aurei. Uve d’argento in realtà potevano produrre al massimo vini che sembravano d’oro senza concretamente esserlo. È comunque innegabile che la Francia e i francesi abbiano dato tanto al mondo del vino, abbiano realmente compreso molto prima degli italiani e di chiunque altro cosa fosse il vino, il vino di qualità e il giusto modo di esaltare la vigna e il terroir, elementi indispensabili per poter dar vita ai famosi vini d’oro nonostante derivassero da uve d’argento.
La FIVI nasce il 17 luglio 2008 dall’iniziativa di alcuni vignaioli italiani sostenuti e incoraggiati dai colleghi francesi, i Vignerons Indèpendants, riuniti da molti anni nella CEVI (Confédération Européenne des Vignerons Indépendants). La sua gestazione è iniziata invece nel 2006, quando, leggendo il progetto per la nuova OCM europea, i vignaioli si sono resi conto che in quel documento la loro categoria, non solo italiana ma europea, non veniva considerata. Da quel momento la semplice riflessione si è tramutata rapidamente in concretezza, con la prima Assemblea Costituente del 17 luglio alla Reggia di Colorno (PR). Costantino Charrère, noto vignaiolo valdostano de Les Crêtes, venne nominato presidente. Lo Statuto ufficiale, steso nel corso dell’Assemblea e firmato dai Soci fondatori, recitava chiaramente – ..lo scopo della Federazione è quello di rappresentare la figura del Vignaiolo di fronte alle istituzioni, promuovendo la qualità e l’autenticità dei vini italiani. Questo perché spesso le grandi questioni che riguardano i piccoli produttori vengono dibattute a Bruxelles come a Roma, ed è importante che la voce dei vignaioli che più sono vicini ai territori, alla cultura e alle tradizioni del vino, arrivi fino a quanti decidono. -. Inoltre FIVI ribadisce con forza che il vino in Europa non è una “semplice” materia prima: è un prodotto agricolo, legato al territorio d’origine.
Attualmente sono 800 i produttori associati, da tutte le regioni italiane, per un totale di circa 8.000 ettari di vigneto, per una media di circa 10 ettari vitati per azienda agricola. Circa 55 sono i milioni di bottiglie commercializzate e il fatturato totale supera 0,5 miliardi di euro, per un valore in termini di export di più 200 milioni di euro. Gli 8.000 ettari di vigneto sono condotti per il 49 % in regime biologico/biodinamico, per il 10 % secondo i principi della lotta integrata e per il 41 % secondo la viticoltura convenzionale.
Con cadenza annuale FIVI incontra il pubblico, quello delle grandi occasioni, allo scopo di divulgare, comunicare e dimostrare in prima persona e in maniera concreta cosa significhi essere vignaiolo. Lo si può comprendere ascoltando le parole di chi in vigna è realmente presente, di chi prova a raccontare un territorio e una cultura di appartenenza attraverso una bottiglia, di chi versa in un bicchiere in maniera fiera il frutto di tanti sacrifici, di chi prova a carpire, spinto da curiosità e da un briciolo di ansia, cosa sia in grado di trasmettere sul volto altrui il proprio vino. La FIVI è questo, è dialogo, è interazione, è l’eclettico e vulcanico Walter Massa che minaccia e rimprovera chi non abbia completamente svuotato il proprio bicchiere prima di ricevere un goccio del suo superlativo Derthona Sterpi, è lo schivo e timido Martin Abraham, giovane produttore altoatesino, che appena ti concede al suo Upupa o al suo Pinot Noir ti svela l’anima calda e avvolgente della sua terra, dai più concepita come fredda e ostica. La FIVI sono le mani delle persone. Donne o uomini che siano, quelle mani che si occupano della propria terra come quelle di un genitore si occupano del proprio figlio, quelle mani consumate dal tempo, dal freddo, dal duro lavoro nei campi, che riescono a farti capire ad ogni stretta di mano quanta fatica ci possa essere dietro ad una bottiglia di vino.
Piacenza è stato reincontrare vecchi amici come i Flaibani, conoscerne di nuovi come Luca dell’Azienda Agricola Falezze – ragazzo di una grandissima preparazione e con idee che lo renderanno negli anni a venire una figura di riferimento della Valpolicella – o come il rivoluzionario Patrick Uccelli, ribattezzato in maniera assolutamente appropriata, il Vasco del Vino. Piacenza sono state le splendide verticali da brivido: quella di Beppe Rinaldi detto “il citrico”, barolista di tradizione capace di liquidarti in quattro e quattr’otto se non gli vai a genio, oppure dei temerari Soave di Pieropan che non hanno paura di sfidare il tempo pur se con in dosso un abito bianco. Piacenza sono state le parole di Sofia Pepe che racconta la storia di papà Emidio, grande uomo a cui si deve la notorietà del nobile Montepulciano d’Abruzzo nel mondo e degli spaventosamente longevi Chianti Rufina di Fattoria Selvapiana, situata nell’alto Chianti e in grado di sbalordire la platea con un’annata 69’ ancora capace di mostrare una piacevolissima freschezza e un naso pressoché perfetto, quasi lontano parente dei vecchi Bordeaux dove la grafite è elemento distintivo di quei fuoriclasse che hanno saputo impattare in maniera sfrontata l’inesorabile trascorrere nel tempo. Piacenza è stato l’ufficio stampa, sempre disponibile e cordiale con chiunque avesse bisogno di assistenza, i ragazzi dell’ALMA di Colorno, che hanno prestato pazientemente servizio e hanno fatto si che non mancasse mai nulla ai produttori e ai visitatori; Piacenza è stata la consacrazione della viticultura di nicchia, quella che parte dalle origini paterne e materne e si trasmette di padre in figlio, quella che si sdogana dai dogmi del mercato di massa e azzarda costantemente. Quella viticultura che vuole e può dimostrare al mondo intero che l’Italia della grande qualità c’è e che ha solo bisogno di essere aiutata a crescere in maniera sana dalle istituzioni e prima ancora dagli uomini; quegli uomini che purtroppo al giorno d’oggi pongono sempre e d’avanti a tutto la stessa parola: BUSINESS.
Aspettare un anno sarà dura, per fortuna ci saranno, durante questo lungo periodo, dei frammenti di ricordi da poter stappare con amici, parenti o conoscenti; ricordi che speriamo possano rappresentare il messaggio di un credo professato e portato avanti quotidianamente da questi umili innovatori intraprendenti che credono nei valori, nella terra di appartenenza e soprattutto negli uomini.
Au revoir FIVI!
Fonte immagini: Ufficio Stampa FIVI
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