Negli ultimi anni il turismo enogastronomico in Italia si è fortemente sviluppato, rendendo finalmente il giusto valore all’incredibile risorsa culturale che i prodotti tipici del nostro Paese rappresentano. Secondo la Coldiretti quest’anno, complice anche la crisi economica, molti sono i vacanzieri che hanno optato per le gite fuori porta e per le sagre paesane: si tratterebbe di più di un italiano su tre con un volume d’affari di 350 milioni di euro, scaturito da circa 18 mila eventi sul territorio nazionale, pari a una media di 250 appuntamenti al giorno, cifra che sale a quasi mille nel periodo estivo.
Purtroppo però questa realtà ha avuto e sta avendo sempre più anche il suo riscontro negativo. Perché successivamente a questo boom del settore sono fiorite anche moltissime sagre fittizie, messe in piedi con la vendita di prodotti facilmente reperibili, che in molti casi hanno ben poco di tipico e tradizionale per il luogo in cui sono commercializzati; oppure con la preparazione di piatti alla portata di tutti, ma realizzati con ricette e ingredienti di scarsa qualità. Quante sono le sagre della pizza, della birra, della castagna, della bruschetta, della lasagna…..?
Ecco allora che la sagra non è più quel piccolo evento attorno al quale riunirsi, socializzare e conoscere quelli che sono i tesori più o meno nascosti dell’Italia; perché la sagra è svilita, sfibrata, svuotata di significato. Come afferma giustamente Michele Corti, ruralista e docente di zootecnia montana all’Università degli Studi di Milano, Il dilagare di sagre tarocche danneggia l’immagine delle centinaia di manifestazioni che, in tutta Italia, offrono al gastronauta ortaggi, prodotti ittici, formaggi artigianali, insaccati disponibili al consumo solo in occasione della sagra, ottenuti con metodologie antiche usualmente non più utilizzabili.
Non solo: moltissime sono le proteste da parte degli esercizi pubblici e dei ristoratori che si vedono scavalcati, per due o tre mesi l’anno, dall’incredibile numero di manifestazioni gastronomiche abusive agevolate (purtroppo) dalla mancanza di una legge più rigorosa e dalla carenza di verifiche e limitazioni. In numerosi casi la Confcommercio si è fatta portavoce del problema parlando di un fenomeno dilagante, il cui scopo sarebbe esclusivamente il guadagno e che, oltretutto, non sarebbe sottoposto a controlli regolari da parte di Asl, Nas, Inail e Inps. Nel 2010 la Confederazione ha anche definito un accordo con l’UNPLI (Unione Nazionale Pro Loco) per il coinvolgimento degli esercenti all’interno delle feste organizzate appunto dalle Pro Loco; accordo che sembra aver avuto scarsi risultati dato il proseguimento del malcontento.
Come se non bastasse, secondo il Decreto Legge numero 5 del 9 Febbraio 2012, art.41, inerente disposizioni in materia di semplificazione, l’attività temporanea di somministrazione di alimenti e bevande in occasione di sagre e fiere non e’ soggetta al possesso dei requisiti previsti dall’articolo 71 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59. Quali erano questi requisiti? Ad esempio che il venditore non fosse stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, oppure che non avesse riportato condanne per reati d’igiene e di sanità pubblica. La questione ha del paradossale.
Il 25 Giugno di quest’anno anche la Fiepet – Confesercenti ha promosso un tavolo di confronto sulla problematica: il dibattito si è svolto nella sede romana dell’associazione, e ha visto coinvolte istituzioni centrali e locali, sindacati ed esponenti di Slow Food. Obiettivo, come già per la Confcommercio, un patto tra commercianti, enti locali e pro loco, e l’avvio di una regolamentazione nazionale delle sagre. I rappresentanti della Confesercenti hanno presentato la bozza di un piano in tal senso. All’interno della bozza si chiede per esempio che la qualificazione di sagra sia riservata alle manifestazioni che valorizzano in maniera esclusiva i prodotti della tradizione territoriale, individuati tra quelli a marchio DOP e/o IGP e che tali manifestazioni siano organizzate sulla base di un protocollo d’intesa con le associazione del commercio del territorio.
Nella speranza che l’incontro in questo caso prosegua con esiti più fruttuosi, vorrei intanto ricordare un’iniziativa realizzata nel 2010 nell’ambito del progetto Territori in Festival, nato con la volontà di promuovere le eccellenze enogastronomiche del nostro territorio. Ideatore e organizzatore del progetto sono rispettivamente il giornalista / gastronauta Davide Paolini e la società BK1 Concept Factory; l’iniziativa è il Manifesto della Sagra Autentica, di cui voglio riportare solo una breve citazione: Perché una sagra si possa definire tradizionale deve possedere almeno un passato di legame tra il prodotto e il suo territorio, documentato da tradizione orale e scritta. Tutte le iniziative culturali previste dalla sagra, infatti, devono riflettere l’obiettivo primario della sagra virtuosa, ovvero esprimere cultura e tradizione.
Francesco Di Ruscio
12 anni fa | 3-9-2012
tutto esatto, bell’articolo, quello che vorrei aggiungere da buon marchigiano, patria di innumerevoli sagre, è che la gente deve imparare a riconoscere le sagre tarocche! Qui da noi si fa la sagra dell spiedo trevigiano e la sagra delle cozze in montagna O.o cioè, qualche volta saremo pure raggirati da sagre fasulle ma il più delle volte basta ragionare un po’ vedere gli usi e i costumi locali e poi scegliere il meglio! E’ come un programma scadente alla tv, se non mi piace cambio canale, così deve essere la sagra: dobbiamo essere noi utenti finali a decidere e a scegliere!!!