Estate: tempi di sequestri.
Basta accendere la tv in questi giorni per essere bombardati da notizie sull’operato dei nuclei antisofisticazione alle prese con prodotti alimentari scaduti da anni o contraffatti che mettono a rischio la salute pubblica.
“L’Agropirateria“, come spesso viene definita, è quella operazione illecita che vede la falsificazione delle indicazioni geografiche tutelate e delle denominazioni protette dei prodotti agro-alimentari e che ha fatto registrare negli ultimi anni un fatturato con cifre da capogiro.
Il fenomeno è testimoniato anche dal bilancio delle attività di repressione che hanno portato al sequestro di decine di migliaia di tonnellate di prodotti agro-alimentari contraffatti.
Tutto ciò è da attribuirsi all’apertura dei mercati e alla ormai famosa bontà del “made in italy” che spinge i mercati esteri a “copiare” i nostri prodotti di maggior pregio; basti pensare a “Parmesao“, l’equivalente brasiliano del nostro Parmigiano reggiano, anche noto in Argentina come “Regianito“.
Ciò che tuttavia spesso si tende a dimenticare è che questo tipo di azioni illecite vanno a discapito dei consumatori colpiti dai “falsi d’autore” ma in modo particolare derubano della propria identità le tipicità del nostro caro paese, azionando oltretutto un meccanismo di vera e propria concorrenza sleale a danno degli imprenditori Italiani.
Prodotti forse molto facili da copiare,
Ma se gli artefici dell’agropirateria fossimo anche noi stessi Italiani, emigrati all’estero con una valigia piena dei segreti delle nostre tipicità agroalimentari?
O semplicemente le tante aziende Italiane che hanno deciso di delocalizzare le proprie produzioni in quei paesi dove la materia prima è di facile reperibilità e il costo della manodopera presenta un enorme risparmio?
Beh, il gioco diventa più facile, il gusto simile, l’etichetta equivoca e la concorrenza ancora più sleale. A quanto detto si aggiunge l’effetto catapulta dell'”Italian sounding“, prodotti alimentari che suonano un ritmo del tutto italiano ma italiani non sono.
Si presentano con nomi italiani e indossano vestiti che riportano inevitabilmente a pensare all’Italia. Sono i fratelli illegittimi della nostra mortadella, prosciutto di parma, gorgonzola ecc.
Cosa è nascosto dietro una imitazione così perfetta? La ricerca scientifica!
L’Italia infatti ha peccato nel lasciare un enorme spiraglio ai ricercatori di altri paesi che, non solo hanno studiato per bene ogni singolo dettaglio dei nostri prodotti, ma disponendo di possibilità difficili da ritrovare in laboratori Italiani, riescono talvolta anche a stupire il pubblico immettendo sul mercato prodotti oltretutto innovativi.
Alcuni dati
Facciamo anche in questo caso di conto e andiamo a vedere a quanto ammonta il danno economico per le imprese.
Il business dell’agropirateria nei confronti delle nostre produzioni tipiche è stato stimato aggirarsi intorno ai 60 miliardi di euro l’anno.
Nel 2011 si registra che circa 50.000 aziende agricole italiane hanno dovuto chiudere a causa di fenomeni di agropirateria, non riuscendo a sostenere la concorrenza sleale delle aziende estere.
I danni non sono solo riconducibili a mancata vendita ma alle cause che portano alla stessa.
Un prodotto “tarocco”, oltre a poter essere un rischio per la salute pubblica, induce nel consumatore una sorta di sfiducia causata da una dubbia provenienza delle materie prime e quindi dall’idea di scarsa qualità del prodotto stesso; questo si traduce per una azienda in perdita di immagine e credibilità del proprio marchio, spese legali cui deve sottostare per tutelarsi e a volte si ricade nel meccanismo contorto del lavoro nero con rischi di sanzioni e chiusura degli stabilimenti di produzione e conseguente aumento della disoccupazione.
Come difendersi?
Chi ci difende? Gli organi ufficiali e i consorzi di tutela dei prodotti di qualità certificati. Cosa possono fare i consumatori al momento della spesa? Leggere l’etichetta dove diventa più facile ritrovare l’origine della materia prima; ne è un esempio lampante la carne: fare attenzione al luogo di nascita, ingrasso e macellazione degli animali; affidarsi alle certificazioni di qualità (DOC, IGP, STG); prestare fede alla stagionalità, soprattutto per quanto riguarda frutta e verdura.
Tuttavia un dato resta forse il più importante: il prezzo. Questo si presenta generalmente più basso se si utilizzano materie prime di importazione.
E alla fine, ultima spiaggia, cercare di comprare in loco i prodotti tipici, magari, come in questi caldissimi giorni di agosto, approfittando delle ferie per una bella vacanza fuori porta.
alessandro.norata
11 anni fa | 2-9-2013
Ma se dipendesse anche dal management delle aziende italiane che non sa prendere le scelte giuste per difendere i prodotti del nostro Paese dall’aggressione estera? Ci vogliono specifiche competenze tecniche e gestionali. In Italia c’è un’Università che ci ha pensato,la LIUC:
http://nuvola.corriere.it/2013/07/23/si-puo-insegnare-davvero-il-made-in-italy/