Milano, 21-23 Febbraio 2015, Palazzo del ghiaccio.
Ad entrare in scena sono i piccoli vignerons, gente che suda in vigna e cura personalmente tutte le fasi della filiera produttiva con l’amore che solo un genitore sa dare al proprio figlio. Producono vini non convenzionali e per certi versi fuori dagli schemi, figli di un approccio che al più prevede rame e zolfo in vigna: il protagonista assoluto è l’uva e i ‘correttori’ tanto usati e poco dichiarati dalla viticoltura dei grandi numeri sono evitati come la peste.
I loro, vengono definiti superficialmente come vini di tanta sostanza e poca eleganza (se ne escono sempre con ste puzzette!), c’è però da dire che se te ne scoli una bottiglia a cena, il giorno dopo sei bello che pronto e pimpante per il tram tram quotidiano senza cerchio alla testa e mattoni di terracotta che ti piombano sul cranio da tutte le direzioni.
Oltre 150 espositori, una cornice di primissimo piano, moderna, essenziale e con una sala degustazione che osserva e si fa osservare da tantissimi enocuriosi, presentatisi anche solo per concedersi un buon calice di vino dopo una intensa giornata lavorativa.
Tutte micro realtà produttive, più o meno conosciute agli addetti e non del settore.
La cosa che maggiormente mi colpisce è che sembrano ormai lontani i tempi in cui a vini decisamente interessanti facevano capo etichette tanto sconvolgenti, da sembrare riesumate da vecchi armadi infestati di naftalina. Si sperimenta, lo si fa in alcuni casi con azzardo, in altri con razionalità e in altri ancora con quel fare un po’ impacciato tipico di chi ce la mette tutta ma non ha ancora trovato la retta via.
Az. Agricola IL PENDIO: Michele Loda è un attento comunicatore, si scusa se non riesce a seguire e illustrare personalmente il suo “progetto” a qualche visitatore; poco importa però, c’è sua moglie che con aria simpatica invita all’assaggio chiedendo conferma a suo marito che ciò che ha detto corrisponda al vero o meno: – aspetta che chiedo se è così o meno, sto imparando troppe nozioni e non vorrei dir fesserie! –.
Prodotti sobri, eleganti, puliti, grande beva, nerbo acido in primo piano, finezza olfattiva e gran voglia di finire la bottiglia. Particolarmente piacevole il Blanc de noir: etichetta molto lineare ma gratificante nella sua sobrietà, direi perfetta rispondenza tra aspettative comunicateci dal packaging e sensazioni post-gustative.
Una certezza: conservatene sempre una bottiglia in casa e non sbaglierete mai!
Casa Caterina: Aurelio del Bono è un omone dal tipico accento lombardo, occhialini rossi, mani grandi quanto pale meccaniche e tanta tanta energia. Lui è uno di quelli che osa, spinge, azzarda, sia con vitigni che con le permanenze sui lieviti: il loro prodotto base CUVÈE 60 NATURE, trascorre cinque anni sui lieviti. Non sto neppure a raccontarvi invece il pinot noir e il pinot meunier che ci rimangono dieci anni!
Ah dimenticavo: BRUT SEC DEMY OUT STYLE, 144 mesi sui lieviti per la presa di spuma, solo magnum e una complessità figlia di una evoluzione più unica che rara per il mercato italiano . In questo caso volontà di azzardare, complessità e voglia di collocarsi nell’estremo sono, a mio avviso, le caratteristiche su cui far riferimento per definire i vini di Aurelio.
Packaging che fonde innovazione e tradizione, etichetta estremamente elegante e contro-etichetta scritta a mano dal produttore, indice di artigianalità ricercata in ogni singolo step della filiera.
Tenuta Thomas Niedermayr: novità assoluta per materia prima e sensazioni gustative. Parliamo di una tenuta immersa nel paesaggio idilliaco del bosco misto delle “Buche di Ghiaccio”, nella parte meridionale del Schulthaus (BZ).Siamo di fronte ad una piccola azienda che lavora esclusivamente varietà unconventionally: le PIWI.
Sono varietà sviluppate dal centro sperimentale di Friburgo, derivanti da incroci effettuati tra vitis vinifera e varietà di vite americane resistenti alle malattie fungine. Ne emerge una qualità in grado di combinare la resistenza delle varietà americane alla qualità dei vini ottenuti dalle varietà europee.
Molto interessanti tutti gli assaggi, decisamente accattivanti, con un bel frutto sempre in evidenza, morbidezze e linearità di beva che rendono i vini estremamente piacevoli e mai ostici nelle durezze. Emerge in particolar modo il Souvignier gris 06 Maischegärung: 300 bottiglie prodotte e vino in commercio a partire da aprile 2015. Scoprire prodotti così particolari per via del loro DNA è di per sé una sorpresa, figuriamoci poterne trovare qualche bottiglia in enoteca: se le beccate provatele!
Piccolo particolare: tappo stelvin per tutti i prodotti e numero su ogni etichetta indicante l’annata di impianto della vigna da cui provengono le uve.
MOVIA (Slovenia): quegli amori a prima vista che non si dimenticano facilmente.
Tutti, dico tutti i suoi vini sono impossibili da evitare (gusti personali, sia chiaro!). Ottava generazione di vignaioli, 22 ettari di terreno arroccato sul Collio, per metà in quello italiano.
PURO ROSÈ, Pinot Nero 70%, Pinot Grigio 10%, Ribolla 20%, gusto suadente, il frutto nella sua delicatezza e fragranza amplifica la piacevolezza del sorso, si integra perfettamente al nerbo acido che dona freschezza, spinta propulsiva nella beva e crea una bolla che per versatilità si rende perfetta per ogni occasione.
Innovativo posizionamento in tema di differenziazione lo si è ottenuto con il ‘degorgeman fai da te’: si degorgia (eliminare i lieviti ormai esausti dopo la presa di spuma) personalmente in un recipiente colmo d’acqua per separare i lieviti dal vino che andrà bevuto.
Il VELIKO BIANCO invece, da uvaggio Ribolla 70%, Sauvignon 20%, Pinot Grigio 10% è solo poesia!
Come in ogni circostanza che si rispetti, non possiamo negarci il piacere delle coccole di un fine pasto tutto dolce.
Immaginate di avere il compito di dover scegliere due vini dolci di due regioni, l’una l’opposto dell’altra completamente diversi: bene, prendete un righello, una matita e tracciate una linea che va da Savorgnano del torre (UD) a Punta dell’Ufala sull’Isola di Vulcano.
Marco Sara è un giovane e simpatico vignaiolo friulano, sempre educato e disponibile, sperimentatore di vinificazioni con uve attaccate da botrite che solo in alcuni casi diventa muffa nobile. Il suo PICOLIT, per il 30% composto da uve botritizzate, è l’emblema della finezza, l’esempio di dolcezza perfettamente bilanciata con una freschezza disarmante. Il cumino, la frutta secca mai prorompente, i sentori agrumati che snelliscono il naso e tanta tanta ampiezza a soddisfare un bevitore letteralmente rapito da cotanta bontà. Pochissime bottiglie da 50 cl, un piccolo tesoro da custodire, dimenticare in cantina e riesumare per le grandi occasioni.
Paola Lantieri invece, è una donna che ha ridisegnato splendide vigne ormai dismesse a Punta dell’Ufala, sull’Isola di Vulcano. Vigne che osservano tutto l’anno le Eolie nel loro splendore, vigne che prendono da madre natura il calore del Sud, la brezza e la salsedine marina e restituiscono a noi bipedi inermi tutta la Sicilia concentrandola in una bottiglia. A Milano c’era sua figlia, dagli occhi profondi e dai tratti mediterranei, una ragazza sempre disponibile e gentile che condivideva il banco d’assaggio con un altro grande siciliano che di nome fa Nino Barraco. Pochissime bottiglie vinificate sulla ‘Sicilia grande’ per assenza di macchinari, mancanza di spazio e anche per conferire a questo vino quell’unicità che lo dipinge come il figlio che va via di casa per cercare realizzazione altrove.
Le uve raccolte vengono posizionate sui graticci, lasciate appassire al sole mentre la brezza le accarezza, dopodiché vengono caricate su imbarcazioni che le portano a Salina dai Virgona, dove vengono vinificate e trasformate in prezioso nettare.
Veste dorata, naso maturo caratterizzato da fichi e albicocche secche, miele, agrumi canditi, datteri, e una mineralità che congiuntamente ai toni salmastri rievoca il luogo di provenienza.
La tre giorni volge al termine, lascio Milano ripensando a come ogni singolo vignaiolo sia riuscito a fornirmi un’esperienza unica nel suo genere e di come abbia saputo raccontare una storia e una filosofia di vita sposata e portata avanti quotidianamente con passione e dedizione. Ripenserò alla grande vitalità e simpatia di alcuni, alla pacatezza di altri ancora ma in ogni caso ne ammirerò di ciascuno, la passione con cui svolge imperterrito il proprio lavoro e porta avanti una ideologia di vita: rispettare la natura e provare a renderla accessibile all’uomo in tutte le sue sfaccettature.
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